Sul teatro e sul moto ondoso.
La creazione teatrale è un testo di azioni e di atmosfere. Per crearlo bisogna concepire il testo letterario su cui si è intenzionati a lavorare come una traccia utile ad elaborarla piuttosto che come un qualcosa che vada eseguito. Per riuscire a rapportarsi al testo letterario in questa maniera bisogna risalire ad un dna drammatico che si suppone esso contenga, cioè ai motori, alle molle dell’azione, alle atmosfere che vi si trovano, e ricostruire un nuovo organismo, che sarà, appunto la creazione scenica, teatrale. Il dramma.
Qualsiasi testo, senza che si maneggino quelle molle, sulla scena è parola morta, noiosa.
Se in termini teorici questa sapienza in teatro sembra relativamente diffusa, la realtà è che invece la prassi spesso la contraddice: spesso ci accontentiamo di farcele indicare, quelle molle d’azione, ma poi ci occupiamo soprattutto di colorare le parole e i gesti in maniera che sembri che quell’azione ci sia, stando però ben attenti a che non ci sia davvero. Che risulti evidente che sta succedendo una cosa, senza preoccuparsi poi di cosa realmente sta succedendo. Perché succede questo? Perché l’azione è qualcosa che accade al presente e il presente è la cosa più mutevole che esiste e quindi, in realtà, l’azione è pericolosa, dà fastidio in scena, mette in pericolo la stabilità della nostra performance. E noi raramente e di mala voglia permettiamo al presente di interagire con noi, quando stiamo in scena: abbiamo paura che ci devii. Preferiamo sapere cosa e come accadrà quando saremo in scena.
Il lavoro che si propone qui, però, si basa su altri presupposti metodologici: sposa l’azione con tutti i suoi corollari e si pone in un’altra ottica. E cioè: che succederebbe se invece permettessimo all’azione di attraversarci, di decentrarci? Se lasciassimo le porte aperte al presente, all’accadere? Come potremmo andare in scena? Come potremmo essere in grado di fare un percorso? E che tipo di percorso sarebbe? Che sapienze ci vogliono per fare un’esperienza di questo tipo?
E' possibile fare del surf davvero sulla scena?
Un esempio plastico per illustrare queste domande. Immaginiamoci di fare surf su un finto surf, inchiodato su un praticabile sulla scena e poi immaginiamoci di fare surf su un surf nel mare: le emozioni, nostre e di chi ci guarda, saranno diverse, giusto? Ora la domanda è: è possibile fare del surf davvero sulla scena?
Ecco: lo scopo del laboratorio è capire come fare per avere la possibilità di fare del surf davvero sulla scena. Certo, concretamente, per fare il surf c’è un problema tecnico. E però bisogna ammettere, ad esempio, che l’uomo, come il mare, non è mai fermo. Se invece di bloccarlo immobile perché reciti la scena “bene” e senza deviazioni dal meccanismo prefissato, sulla scena concedessimo all’uomo (a noi stessi, al nostro partner, al pubblico che è venuto a vederci) libertà di movimento, non potremmo surfando andare dove vogliamo con un’emozione e un rischio assai più forti e interessanti, per noi e per il pubblico? Un rischio ed un’emozione che sono reali, dati dall’interazione con un elemento esterno, vivo e continuamente mutevole e non con l’immagine di noi stessi offerta al pubblico, conformemente da come ce l’ha confezionata il regista o il gusto diffuso?
Lezione aperta conclusiva del laboratorio Il surf non inchiodato docente Alessio Bergamo
Tre Sorelle di A. Cechov
febbraio 2022
venerdì 18 - h. 17:00
sabato 19 - h. 15:00
Palestrina della Scuola Paolo Grassi
Il laboratorio - un lavoro su Tre sorelle di Čechov - ha coinvolto 16 professionisti formati alla Scuola Paolo Grassi, alcuni con una carriera già avanzata, altri diplomati da poco, scelti con una selezione accurata da parte del docente (esso stesso scelto con cura dalla Direzione per la particolarità dell'offerta formativa proposta, una novità nel quadro della nostra attività degli ultimi anni)
Le due settimane di lavoro sono diventate uno "spazio ideale" per uno scambio di conoscenze e di contatti tra giovani attori, attrici e registi/e e per l’acquisizione nuovi approcci metodologici al lavoro (o per l’approfondimento di approcci già conosciuti).
Il laboratorio si conclude con due prove aperte, lo abbiamo detto, concepite non tanto come dimostrazione dei risultati del laboratorio, ma come parte integrante di questo. La prova aperta risponde a dei quesiti, è svolgimento di un compito: cosa succede quando arriva qualche estraneo e tu stai andando in scena avendo solo una partitura interna della scena ma non sapendo affatto cosa dirà, come si muoverà, cosa farà il tuo compagno di scena?
Alessio Bergamo
Vi hanno partecipato:
Cecilia Campani, Marta Mungo, Giulia Angeloni, Nicoletta Epifani, Maria Canal, Silvia Guerrieri, Tommaso Pagliarini, Giuseppe Palasciano, Valentino Mannias, Federico Antonello, Carmelo Crisafulli, Salvatore Alfano, Michele Magni, Sebastiano Bronzato, Emanuele Righi, Jasmine Monti e Emanuele Giorgetti, l'unico diplomato Regista tra gli attori su elencati.
Etjud
La pratica scenica denominata in russo “etjud” e il lavoro di analisi e scomposizione del testo che precede l’andata in scena, hanno esattamente questo scopo: quello di gestire il presente e il moto continuo come risorsa e non come disturbo, quello di accogliere al massimo e gestire tutto ciò che accade dentro e fuori di noi durante la performance, ovvero di surfare sul reale presente sulla scena e nell’interazione col pubblico. E questo laboratorio servirà a fare esperienza di come si organizza, struttura e gestisce un processo simile. E di come farlo a partire da un testo letterario (pièce) pre-esistente.
Perché poi, ovviamente, questa maniera di esistere sulla scena può essere innescata anche su tracce totalmente differenti da quelle nascoste in un testo letterario….
Per non inchiodare Tre sorelle di Čechov
Tre sorelle è un’opera polifonica, sulla scena coesistono e si intrecciano quasi sempre contemporaneamente diverse linee. Ogni attore deve tenere costantemente conto di più aspetti che influiscono sulla sua esistenza scenica. Si intrecciano rapporti con oggetti inanimati; flussi di pensieri; rapporti condizionati dalle situazioni in cui si trovano e da cui sono legati i personaggi; scene che comportano scambi di immagini poetiche tra persone; capacità di assumere su di sé i punti di vista dei personaggi sulla vita; capacità di creare, sostenere, rompere, andare contro le atmosfere sceniche; la necessità di gestire tutto questo tendendo verso una linea unica e comune (lavoro di ensemble); e quella di riuscire a farlo in improvvisazione, gestendo la composizione dell’opera come ci si trovasse in una jam session, perché l’etjud presuppone l’improvvisazione.
Questa la ricchezza di esistenza scenica con cui devono confrontarsi l’attore e il regista per fare di questo testo qualcosa di vivo, vibrante, denso di svolte drammatiche e mutamenti di registro e con un portato di senso e di immagini a livello dell’opera.
Cronoprogramma del lavoro
Il laboratorio è INTERGENERAZIONALE, cioè aperto a tutti gli ex allievi della Scuola Civica Paolo Grassi a prescindere dall’età e dall’anno di diploma.
Sono ammessi non più di 16 partecipanti. La selezione viene fatta su cv.
Un mese prima del laboratorio verranno inviate delle informazioni su come prepararsi al laboratorio.
Il laboratorio si svolgerà dal 7 al 19 febbraio (giorno di riposo – 13 febbraio).
L’orario sarà lun - ven dalle 10 alle 20, sabato dalle 10 alle 18.
Strutturazione del lavoro (cosa ci si fa e come)
Nel laboratorio conduttore e partecipanti comunicano attraverso un compito e un materiale.
Il conduttore propone una serie di compiti riferiti al materiale drammaturgico, i partecipanti ci lavorano autonomamente e mostrano il risultato del loro lavoro. Il conduttore analizza quello che fanno i partecipanti, precisa i compiti (fornisce delle indicazioni di metodo, dei suggerimenti rispetto allo strumentario da adottare, delle chiavi di ulteriore comprensione del materiale drammaturgico), i partecipanti ci ri-lavorano autonomamente e lo ri-mostrano, ecc. Insomma: contrariamente alla pratica della messa in scena, dove è il regista che indica al partecipante la creazione scenica a cui deve dare corpo e anima il risultato, qui le creazioni sceniche dei partecipanti saranno esclusivamente frutto dal loro lavoro, in dialettica con le indicazioni analitiche e metodologiche del conduttore.
Durante la giornata di lavoro ci sarà obbligatoriamente spazio per un training, per le prove autonome, per la dimostrazione delle scene preparate e, in genere, per gli interventi del conduttore.
Ci sarà una restituzione finale “aperta”, ma questa in nulla si differenzierà dal lavoro quotidiano di laboratorio, se non per la presenza di un pubblico di amici, operatori della PG ecc. e anch’essa andrà intesa in senso laboratoriale. Cioè il suo scopo principale sarà quello di esperire cosa succede nell’interazione col pubblico quando si va in scena in una determinata maniera (in improvvisazione, in un determinato contatto col partner e col materiale, ecc.).